Background di Blake 'scar' Aster

Cosa posso dire di me?

Non conosco i miei genitori. Non sono riuscito a trovare nemmeno uno straccio di documento che mi spiegasse di chi sono figlio. So solo di essere stato lasciato in fasce davanti ad un orfanotrofio.
A volte fantastico sulla possibilità di essere figlio di una qualche figura importante, rapito e poi abbandonato su Evanos solo per fare un torto a mio padre.
Ma è molto più probabile che i miei genitori fossero profughi in fuga, forse addirittura perseguitati per qualche crimine. Non hanno avuto cuore di uccidermi nella culla, per cui ritengo non fossero persone cattive. Certo, le punizioni corporali delle Suore Progressiste dell'orfanotrofio San Jackobs a volte mi hanno fatto maledire quel fatidico giorno, la mia morte mancata.
Punizioni. Ricordo tante punizioni. Non auguro a nessuno quello che ho patito io dentro a quell'orfanotrofio. Non conservo un solo ricordo piacevole delle sorelle, solo la mia speranza che pagassero per tanta cattiveria.
E, sfortunatamente per loro, le mie preghiere sono state esaudite. Pochi giorni dopo il mio quinto compleanno un gruppo di irregolari dell'esercito, con gli stivali infangati e le armi spianate, ha fatto irruzione nella nostra struttura ed ha stuprato e ucciso tutte le suore. Nessuna è scampata al massacro, neanche la madre superiora.

Del mese successivo ho solo vaghissimi ricordi. Nella mia mente vedo ancora un pacchetto di gallette, conservate sotto ad una pietra per evitare che gli altri bambini me le portassero via. Alcuni di noi so che non ce l'hanno fatta. Troppo poco cibo rimasto nella dispensa, dopo il saccheggio dei soldati.
Poi una squadra della fazione Flagellum ha raggiunto l'orfanotrofio ed ha portato via tutti. Quelli più piccoli sono stati mandati nelle retrovie, quelli più grandi no. Sono stati vestiti, sfamati e mandati all'addestramento. Ho imparato a usare fucili, pistole, coltelli. Ad approntare un ordigno di fortuna. Ad uccidere.

Più di due anni di massacri hanno distrutto la mia umanità, fortunatamente non per sempre. Ho rimosso gran parte di quei ricordi, ma ancora adesso ogni tanto mi sveglio pensando di essere in mezzo ai cadaveri, mentre striscio di notte per raggiungere la buca successiva, dove si annida il nemico.
A otto anni vengo investito dalle schegge di una mina antiuomo. Il mio addome praticamente non esiste più. Ricordo ancora adesso il botto ed il buio che ha avvolto tutto.
Mi sono risvegliato una settimana più tardi in un ospedale da campo. Mi hanno rattoppato meglio che hanno potuto, purtroppo le cicatrici non se ne andranno più. Sono e saranno sempre un avvertimento a stare sempre sul chi vive.

Mentre ero immobilizzato a letto una dottoressa si è presa cura di me. Il suo nome è Jade. All'inizio l'ho odiata, con i suoi modi gentili che non capivo ed a cui non ero abituato. Poi pian piano mi sono affezionato a quella donna esile, minuta, sempre gentile nonostante io non le risparmi gli insulti più coloriti e cattivi che mi passano per la testa. Ed ha continuato ad essere buona con me, nonostante la mia stronzaggine. Mi sono sempre vergognato di quel periodo, ma lei non ci ha mai dato peso.
Vedevo lei lavorare china sui pazienti. Osservavo le ferite purulente, i morti sulle barelle coperti da un lenzuolo macchiato, gente arrivata in condizioni troppo gravi e che non è riuscita a sopravvivere all'intervento. Gente zoppa, cieca, senza arti. Mentre la seguivo come un'ombra, Jade pian piano cominciava a spiegarmi come ricucire le ferite superficiali e come cambiare le bende. Ho imparato a prendermi cura dei suoi pazienti meglio delle infermiere del campo.
Assimilavo tutto, tanto che dopo qualche mese ha iniziato a portarmi dei vecchi libri sulla medicina. Leggevo. Assistevo Jade negli interventi. Continuavo a leggere.

A dodici anni ho eseguito il mio primo intervento come chirurgo. Non è andata proprio come speravo, ma almeno il paziente è sopravvissuto. A quindici anni affiancavo quotidianamente Jade. Ormai si fidava di me e delle mie mani. La vita all'ospedale da campo era dura, non c'era mai un momento di tregua. Ma avevo voglia di rimanere lì, di stare accanto a Jade. Sì, probabilmente mi ero innamorato.
Intanto passavano gli anni e la situazione sul pianeta non migliorava. La guerra continuava, ma io non mi lamentavo. C'era Jade. Salvavo delle vite. Rispettavo la vita di uomini e donne non più in grado di combattere, creature ormai fragili che si affidavano a me. Questo rispetto non l'ho mai perso, me lo porto ancora dietro. Ho letto sulla trascrizione di un libro che moltissimi anni prima i medici facevano un giuramento. Io vivevo mosso dallo stesso spirito che permeava quelle parole. E lo faccio ancora oggi.

Poi è successo. Sono sceso di nuovo all'inferno. O forse è il fottuto inferno che ha reclamato la mia presenza. Durante uno degli spostamenti dell'ospedale da campo un colpo di artiglieria è caduto a pochi metri dal convoglio. Ho visto il mezzo su cui viaggiava Jade saltare in aria, avvolto in una palla di fuoco. Sono corso in suo soccorso ed ho estratto il suo corpo dalle lamiere. Purtroppo sono arrivato troppo tardi. Jade ha esalato il suo ultimo respiro tra le mie braccia.

Sono rimasto immobile per interminabili minuti. Non sentivo né vedevo nulla. Ed in quel momento ho preso la mia decisione. Basta. Basta con questo pianeta. Ho lottato troppo a lungo con le difficoltà della guerra, con povertà. Con apparecchiature inadeguate. Con attrezzi non sterili. Sogno un mondo con ospedali sicuri, puliti, in cui un ferito non abbia più possibilità di morire sul mio lettino di quante ne aveva sul campo di battaglia. Il primo sarà dedicato a Jade.
E' un bel sogno. Ma per realizzarlo ci vogliono soldi. Tanti soldi. E contatti.

L'unica soluzione percorribile? Il circuito MERCs.